(in Nuova Rass. 2005, fasc. 10, p. 1087 e ss.; in giustizia-amministrativa.it; in LexItalia.it; in Giustamm.it) 1.- Considerazioni introduttive. 1 2.- L’estensione della giurisdizione di legittimità alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali e dubbi di compatibilità costituzionale dell’art. 7, comma 3, legge n. 1034/71 (novellato dalla l. n. 205/2000) in relazione all’art. 103 Costituzione. 3 3.- L’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004 e l’affermazione del risarcimento del danno come tecnica di tutela dell’interesse legittimo. 5 4.- Critica: il falso problema della risarcibilità degli interessi legittimi 8 5.- Conclusioni: incostituzionalità delle competenze risarcitorie nella giurisdizione su interessi legittimi 12 1.- Considerazioni introduttive. La recente sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004, al di là dei temi specifici affrontati in relazione alle censure mosse nelle ordinanze di rimessione, induce a riflessioni sul punto della legittimità costituzionale delle competenze risarcitorie spettanti al giudice amministrativo ai sensi dell'art. 7, co. 3° L. n. 1034/71 (quale novellato dall’art. 7 L. n. 205/2000). Il tema, nonostante fosse estraneo all'ambito della dichiarazione di incostituzionalità, è stato oggetto, sia pure in via incidentale, di approfondita disamina da parte del Giudice delle leggi, le cui conclusioni, però, non mancano di sollevare qualche perplessità. Prima di affrontare il cuore del problema, ci sembra utile premettere alcuni cenni sull’estensione della giurisdizione esclusiva alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali. Con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), seguita dal decreto legislativo delegato 3 febbraio 1993, n. 29, aveva inizio un ampio disegno di riforma della pubblica amministrazione, con importanti ricadute sul riparto della giurisdizione. Per la piena attuazione della riforma, l'art. 11, comma 4, lettera g), legge 15 marzo 1997, n. 59, conferiva una delega al Governo ad emanare disposizioni integrative e correttive al D. Legisl. n. 29/1993, indicando la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sui rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e "infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici". Il legislatore delegante intendeva, in primo luogo, rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo - nell'esercizio della giurisdizione, sia di legittimità che esclusiva, di cui era già titolare in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici - non solo la fase del controllo di legittimità dell'azione amministrativa, ma anche (ove configurabile) quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento del danno, evitando per esso la necessità di instaurare un successivo e separato giudizio innanzi al giudice ordinario. In secondo luogo la delega mirava a perseguire tale risultato senza ampliare nelle suddette tre materie l'ambito delle esistenti giurisdizioni esclusive. Per due volte infatti fu formulata la proposta di delegare il Governo a trasferire le tre materie in questione alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ed entrambe le volte essa non ebbe seguito, onde fu approvato definitivamente un testo che di giurisdizione esclusiva non parlava. Recuperando la nozione di "diritti patrimoniali conseguenziali", la cui cognizione, sino ad allora, era riservata al giudice civile (v. art. 30, comma 2° r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato; e art. 7 , comma 3° legge 6 dicembre 1971 n. 1034), il legislatore perseguiva la finalità di attribuire al giudice amministrativo - nei limiti in cui già conosceva di quelle materie - la giurisdizione anche per la conseguenziale tutela risarcitoria. La delega, esercitata dal Governo con D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, recante Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, era soggetta ad una evidente forzatura, come se essa non avesse ad oggetto solo l’assegnazione al giudice amministrativo delle vertenze sui diritti patrimoniali conseguenziali nelle materie elencate dalla norma (edilizia-urbanistica, servizi pubblici). Quasi che l’art. 11, comma 4° lett. G) della legge n. 59/97, contemplasse due oggetti distinti: a) l’assegnazione alla giurisdizione esclusiva delle materie edilizia-urbanistica e servizi pubblici; b) l’assegnazione alla giurisdizione esclusiva delle vertenze su diritti patrimoniali consequenziali in tutte le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Difatti gli artt. 33 e 34 d.lgs n. 80/98 devolvevano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi (così come elencati nel comma 2° del citato art. 33) e quelle aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. Come da più parti auspicato, seguiva, poi, l’intervento risolutore della Corte costituzionale che, con sentenza del 17 luglio 2000 n. 292, bocciava l’art. 33 citato per eccesso di delega. Il Giudice delle leggi chiariva che il riferimento dell’art. 11 della legge n. 59/1997 ai diritti conseguenziali patrimoniali nelle materie de quibus non intendeva implicitamente sottintendere la creazione di nuovi settori di giurisdizione esclusiva, ma più semplicemente mirava ad attribuire al giudice amministrativo, nella giurisdizione già di sua pertinenza, il potere di tutelare in modo pieno il cittadino nei confronti della pubblica amministrazione mediante l’azione risarcitoria. Viceversa, sempre a giudizio della Corte costituzionale, ove il legislatore delegante avesse voluto istituire nuove giurisdizioni esclusive, avrebbe dovuto - per rispettare l'art. 76 della Costituzione - definire i limiti della "materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici" non contemplata normativamente e quindi formalmente non identificata, ed assegnare al Governo principi e criteri direttivi per procedere a tale individuazione. Conclusivamente, doveva ritenersi che l' "estensione" della giurisdizione amministrativa esistente, tanto di legittimità che esclusiva, era il compito assegnato al legislatore delegato; i "diritti patrimoniali conseguenziali", in essi compreso il risarcimento del danno, erano l'oggetto (normativamente individuato) di tale estensione; e le tre materie dell'edilizia, urbanistica e servizi pubblici si ponevano come l'ambito all'interno del quale la giurisdizione amministrativa doveva essere estesa. A questa stregua, l’interpretazione riduttiva dei limiti della delega, accolta dalla Corte costituzionale, consentiva di qualificare “sufficientemente determinato” il compito affidato al legislatore delegato nella legge di delega n. 59 del 1997, e, di conseguenza, ad un tempo, sottraeva l’art. 11, comma 4, lett. G) seconda parte della legge n. 59/1997 alla censura di incostituzionalità proposta dall’ordinanza n. 495 in riferimento all’art. 76 Costituzione, e decretava “la condanna a morte parziale dell’art. 33 del d. lgs. n. 80/98 per eccesso di delega”. 2.- L’estensione della giurisdizione di legittimità alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali e dubbi di compatibilità costituzionale dell’art. 7, comma 3, legge n. 1034/71 (novellato dalla l. n. 205/2000) in relazione all’art. 103 Costituzione Il mancato rispetto della legge di delegazione ad opera del d. lgs. n. 80/98, e il venir meno dell’ampliamento delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, inducevano il legislatore ad intervenire per ovviare alla situazione determinata dalla citata sentenza della Corte costituzionale, mediante conferma con legge della medesima disciplina dichiarata incostituzionale, per definizione al riparo da ogni rischio di eccesso di delega. L'art. 7 della legge n. 205/2000, nel novellare gli articoli 33, 34 e 35 del decreto legislativo n. 80, si preoccupava di offrire copertura legislativa al decreto legislativo n. 80/98, prevenendo una falla nel sistema. Senonché, il legislatore con la medesima legge n. 205/2000 coglieva l’occasione per operare un’ampia riforma del processo amministrativo, permeato dall’esigenza di concentrazione della tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare, per quanto qui più interessa approfondire, il giudice amministrativo veniva investito della cognizione sulle questioni risarcitorie anche al di fuori delle materie in relazione alle quali gli era attribuita giurisdizione esclusiva. Come è stato perspicuamente notato in dottrina, l’enucleazione di una previsione autonoma (art. 35, comma 4° del d. lgs. n. 80/98 così come sostituito dall’art. 7, lett. c della legge n. 205/2000) rispetto al preesistente art. 35, comma 1, d. lgs. n. 80/98, intesa ad assegnare al giudice amministrativo il potere di conoscere tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ogni qualvolta si trovi ad operare “nell’ambito della sua giurisdizione”, “rappresenta un dato normativo inequivocabilmente indicativo della chiara volontà del legislatore di estendere sul versante oggettuale la capacità del giudice amministrativo di assicurare una pienezza di tutela”. La giurisdizione amministrativa, quindi, è venuta a connotarsi in termini di pienezza anche con riferimento alla giurisdizione di legittimità, così superandosi, almeno in parte, gli inconvenienti applicativi connessi alla attribuzione in capo a due giudici diversi di una valutazione quanto meno parzialmente coincidente, quale quella relativa alla legittimità dell’azione dell’Amministrazione, considerata in sé o, nella prospettiva risarcitoria, quale fattore concorrente con altri nella ricostruzione dell’illecito contestato. Conseguentemente si è posta la questione concernente la “qualità” assunta dalla giurisdizione del giudice amministrativo allorché lo stesso, chiamato a giudicare al di fuori delle materie espressamente ascritte alla sua giurisdizione esclusiva, eserciti, ai sensi dell’art. 7, co. 3° L. n. 1034/71 (quale novellato dall’art. 7 L. n. 205/2000), i riconosciuti poteri cognitori e decisori in tema di risarcimento del danno: occorre stabilire, infatti, se la giurisdizione di legittimità, ancorché irrobustita per effetto dei nuovi poteri esercitabili dal giudice, mantenga i suoi caratteri originari ovvero se si debba ritenere arricchita di una nuova, e peculiare, ipotesi di giurisdizione esclusiva. La questione, se sul piano teorico impone la verifica della natura delle posizioni soggettive di cui si riconosce la tutela risarcitoria, si presenta di estrema delicatezza in quanto la generalizzata attribuzione in capo al giudice amministrativo della cognizione del risarcimento del danno, come noto, sino a quel momento, ricostruito dalla Cassazione a Sezioni Unite come situazione sostanziale di diritto soggettivo, ha portato con sé un inevitabile dubbio sulla costituzionalità del novellato art. 7, comma 3° L. n. 1034/71 per contrasto con l’art. 103 Costituzione, allorchè è stata sottolineata la difficoltà di ipotizzare, con riguardo alle competenze risarcitorie assegnate al giudice amministrativo, una “materia” senza confini, non delimitata cioè sulla scorta di un parametro di tipo contenutistico specifico ed omogeneo, ma connotata solo dalla specificità del potere cognitorio e decisorio ascritto al giudice; una materia, peraltro, del tutto trasversale, destinata talvolta ad integrare la giurisdizione di legittimità e quella di merito, talaltra ad affiancarsi alle altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Di segno contrario è l’opinione di quella dottrina che, per superare siffatto dubbio, ha sostenuto che “nel giudizio risarcitorio la posizione soggettiva sostanziale dedotta è legata all’interesse legittimo leso con correlativa caratterizzazione strumentale, irrilevante ai fini della giurisdizione, del diritto soggettivo al risarcimento”. In altri termini, secondo quest’ultimo orientamento di pensiero, il risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo, in quanto forma (e/o tecnica) di tutela, rientrerebbe nel concetto di “tutela” dell’interesse legittimo che l’art. 103 della Costituzione, 1° comma, prima parte, assegna, senza incertezze, alla giurisdizione del Giudice amministrativo. La divaricazione delle posizioni è netta. Da un lato, considerato il credito risarcitorio come situazione di diritto soggettivo naturalmente soggetta alla giurisdizione dell’A.G.O., vi sono coloro che si preoccupano di verificare se sussistano condizioni sufficienti a legittimare la deroga in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nei limiti consentiti dalla Costituzione; dall’altro, si pensa che, se il danno ingiusto è originato dalla lesione di un interesse legittimo, il conseguente diritto al risarcimento non potrà non costituire strumento di tutela riparatoria del medesimo interesse legittimo leso, senza che venga in rilievo, neppure in astratto, un problema di giurisdizione esclusiva, ma semplicemente di effettività della tutela dell’interesse legittimo. Effetto logico di quest’ultima concezione dovrebbe essere l’illegittimità costituzionale della giurisdizione dell’A.G.O. sul diritto al risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, inteso come posizione strumentale rispetto alla situazione soggettiva cautelata di interesse legittimo, per violazione del citato art. 103 Cost., 1° comma, che riserva al giudice amministrativo la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi. Non è un caso che in dottrina, ancor prima della sentenza Cass. Sez. Un. n.500/99, proprio nel tentativo di offrire un valido schema di soluzione ai problemi di giurisdizione concernenti l’azione di risarcimento danni per lesione di interessi legittimi, si è acutamente osservato “.. che la soluzione più corretta sarebbe stata non quella di affermare tout court la giurisdizione ordinaria, in base alla considerazione - necessaria ma non sufficiente - che si tratta di un diritto; ma semmai quella di sollevare questione di legittimità costituzionale delle attuali norme attributive di giurisdizione amministrativa nella parte in cui non prevedono che la tutela risarcitoria per equivalente degli interessi legittimi spetti al giudice amministrativo, così come ad esso già spetta la reintegrazione in forma specifica con lo strumento del giudizio d'ottemperanza”. 3.- L’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004 e l’affermazione del risarcimento del danno come tecnica di tutela dell’interesse legittimo. Ed è proprio in questo solco interpretativo che, a nostro avviso, si inserisce l’intervento della Corte costituzionale, allorché con la sentenza n. 204/2004 ha statuito il principio, salutato come uno dei suoi aspetti “più interessanti”, che il potere del giudice amministrativo, ex art. l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui (lettera c) sostituisce l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. La Corte costituzionale ha puntualizzato che “…L'attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato (..), ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l'art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost.”. L’assunto implicito che sembra aver mosso il Giudice delle leggi è che la giurisdizione sul risarcimento del danno da illiceità dell'azione amministrativa, attribuita in via generale al giudice amministrativo, non contrasti con l’art. 103 Cost., poiché trattasi sempre di tutela di interessi legittimi, rivelando, così, un’interessante sintonia con l’opinione espressa dal Presidente del Consiglio di Stato, nella sua relazione del 26 febbraio 2004, sulle vicende che hanno interessato la Giustizia amministrativa nell’anno 2003, secondo cui, a proposito della cognizione del giudice amministrativo sul risarcimento del danno, si tratta “.. non già dello spostamento di attribuzioni da una giurisdizione all’altra ma dell’innesto nell’ordinamento, sotto la pressione della storica sentenza n. 500 del 1999, di una più incisiva figura di interesse legittimo (pretensivo) percorsa da nuova linfa vitale”. Il ragionamento della Corte costituzionale si pone, di fatto, in aperto contrasto con gli approdi della dottrina civilistica moderna che, per un verso, qualificano la lesione dell’interesse legittimo come elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c., soltanto sotto il profilo della qualificazione del danno come ingiusto; quest’ultimo, poi, visto come immediato e diretto fondamento dell’azione risarcitoria; e, per altro aspetto, avvertono che <<la stessa disposizione dell’art. 24, comma 1 Cost., laddove statuisce che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, non disegna certo la fattispecie della responsabilità civile, né tanto meno indica le possibili fonti del diritto al risarcimento del danno>>. Il Giudice delle leggi, in altri termini, sembra aver condiviso l’opinione di chi sostiene che il rimedio risarcitorio, qualificato come strumento di completamento della tutela tipica dell'interesse legittimo, escluda ogni dubbio sulla legittimità costituzionale di una scelta che proprio nelle norme costituzionali sui criteri di riparto trova la sua ragion d'essere. Il giudice amministrativo si prenderebbe cura dell'interesse legittimo sia nelle forme della tutela reale-demolitorio-conformativa sia nelle forme della tutela risarcitoria (in forma specifica o per equivalente), così divenendo “giudice unico della funzione pubblica”. In tal guisa, infatti, il risarcimento del danno, conseguente all’esercizio illegittimo del potere da parte della pubblica amministrazione, è attribuito alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo “in attuazione della norma costituzionale attributiva del potere giurisdizionale in ordine all’interesse legittimo (art. 103, comma 1, della Cost.)”, e ciò comporta che la tutela risarcitoria conseguente alla lesione di posizioni di tale tipo viene anch’essa riservata al giudice amministrativo. Tuttavia le argomentazioni della Corte costituzionale appaiono non del tutto condivisibili, soprattutto nella parte in cui non hanno contribuito a sciogliere il vero nodo problematico a monte della questione: chiarire se il diritto al risarcimento del danno si fondi veramente sulla lesione dell’interesse legittimo ovvero su qualcosa d’altro. E’ evidente che soltanto nella prima ipotesi potrebbe trovare ingresso la tesi che ricostruisce il diritto al risarcimento come strumento di tutela dell’interesse legittimo, in caso contrario, ove si dovesse aderire alla diversa opinione che connette il diritto al risarcimento del danno alla lesione di un interesse meritevole di tutela, senza riferimento alcuno alla natura delle situazioni soggettive connesse (diritto soggettivo o interesse legittimo), non potrebbe porsi alcun rapporto di strumentalità tra diritto al risarcimento del danno e lesione dell’interesse legittimo. In tale ultima ipotesi, venendo meno la possibilità di ricondurre la competenza risarcitoria del giudice amministrativo al suo ambito generale di giurisdizione costituzionalizzato dall’art. 103 Cost., vale a dire l’ambito della “tutela dell’interesse legittimo”, non rimarrebbe che la via obbligata dell’incostituzionalità per contrasto con la generale giurisdizione dell’AGO sui diritti, tranne che non si dimostri che detta competenza risarcitoria possa ricondursi alla fattispecie derogatoria della giurisdizione esclusiva, e che ne sussistano le condizioni costituzionalmente giustificative. Tornando, ora, al punto lasciato in ombra dalla Corte costituzionale, occorre approfondire se possa dirsi corretta la ricostruzione del rimedio risarcitorio come strumento di tutela della lesione di interessi legittimi, oppure se la risarcibilità degli interessi legittimi non sia che un falso problema. 4.- Critica: il falso problema della risarcibilità degli interessi legittimi Il novum introdotto dalla sentenza della Corte di Cass. Sez. Un. n. 500/99 è dato dal principio che, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana, non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione vantata dal soggetto, poichè la tutela risarcitoria è assicurata soltanto in relazione all’ingiustizia del danno. Quest’ultima costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. La migliore dottrina ha chiarito che la risarcibilità della illegittima lesione dell’interesse legittimo, al pari della lesione del diritto soggettivo, è soltanto una metafora che, a ben guardare, la stessa sentenza n. 500/99 aveva soltanto in apparenza solennemente affermata. La sentenza n. 500/1999, in realtà, ha mantenuto ferma l’irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi, intesi come pretese al conseguimento di utilità strumentali, e sul punto è in atto un processo di ripensamento che ha consentito di superare la fondamentale contraddizione che la sentenza, frutto evidente di un compromesso, conteneva in sé. Secondo la sentenza n.500/99 la risarcibilità degli interessi legittimi non poteva essere accordata in base alla sola violazione dell’interesse legittimo, ma occorreva anche la violazione di un interesse meritevole di tutela, interesse diverso dall’interesse legittimo, ma avente anch’esso rilevanza giuridica, tanto da avere rilievo determinante nella fattispecie di danno. La tesi della doppia violazione induceva, poi, la Corte di cassazione a distinguere tra interessi pretensivi e interessi oppositivi: mentre, per gli interessi oppositivi, l’interesse meritevole di tutela, cioè l’interesse al bene della vita, risultava immediatamente e necessariamente violato insieme all’interesse legittimo; viceversa, per gli interessi pretensivi, questo (ipotetico) interesse al bene della vita non poteva dirsi né automaticamente né necessariamente violato insieme con la violazione dell’interesse legittimo, ma esigeva un giudizio prognostico, per conoscere (rectius: immaginare) in anticipo quale sarebbe stato il risultato del procedimento amministrativo se l’amministrazione avesse agito legittimamente. E’ evidente che, mentre, da un lato, era affermata la risarcibilità dell’interesse legittimo, dall’altro veniva negata, perché, di per sé, la violazione dell’interesse legittimo non poteva dare luogo al risarcimento. Ciò ha indotto taluni ad evidenziare la diversità, sul piano teorico, della nozione di interesse legittimo, situazione giuridica soggettiva strumentale, rispetto ad un interesse (sostanziale) a un bene della vita. L’interesse legittimo <..come situazione soggettiva protetta rimane in definitiva un interesse strumentale e meramente “legittimante” all’esercizio di poteri di influenza sulla decisione dell’amministrazione>. Da questo punto di vista, la responsabilità per lesione di interessi legittimi, costruita come inadempimento di doveri procedimentali, o come violazione del principio di correttezza e buona fede, “a prescindere dalla considerazione della possibile soddisfazione dell’interesse al bene della vita da parte del ricorrente”, si allontana dal modello della responsabilità extracontrattuale per avvicinarsi ai modelli della responsabilità contrattuale (o, meglio, da inadempimento di obbligazioni) o, quanto meno, della responsabilità da contatto. La dottrina avverte la difficoltà del problema ed ipotizza, in questi casi, più che ad un risarcimento, possa farsi luogo ad indennizzo, senza tuttavia escludere che al danno da lesione dell’interesse legittimo possa aggiungersi “.. il (diverso) danno da lesione della (eventuale) aspettativa tutelata o di un diritto soggettivo, come nello schema teorico dell’interesse legittimo oppositivo”. Ne consegue che l’aspetto più qualificante della sentenza n. 500/1999, recettiva degli approdi di un dibattito civilistico elaborato e, ormai, maturo, <<può essere in estrema sintesi rappresentato come “il passaggio dal diritto all’interesse” nel senso che dove in principio era il diritto soggettivo assoluto è subentrato l’interesse giuridicamente rilevante, meritevole di tutela, quale frontiera ultima del danno risarcibile>>. Dal canto loro gli amministrativisti ribadiscono che l’interesse legittimo esiste, “..ma che, rispetto ad esso, l’attuale disciplina della responsabilità civile (aquiliana o contrattuale che sia) risulta del tutto estranea. Poiché infatti tale disciplina ha fondamentalmente scopo ripristinatorio, e non sanzionatorio, il riconoscimento della responsabilità presuppone la sicura spettanza al cittadino del bene della vita oggetto della protezione giuridica (bene della vita che è rappresentato ora dalla soddisfazione dell’interesse materiale di base coinvolto in una decisione amministrativa, ora dalla integrità della propria sfera personale e patrimoniale ad opera di chi esercita il potere). E poiché, per definizione, l’interesse legittimo non include la garanzia del conseguimento del bene della vita cui esso si riferisce (bene della vita di cui esso assicura al cittadino la semplice possibilità di conseguimento), l’interesse legittimo, in quanto tale, non è, nel nostro ordinamento positivo, suscettibile di risarcimento”. A fronte della potestà pubblica si colloca la situazione di interesse (legittimo) del ricorrente il cui limite di tutela si esaurisce nel poter esigere che l’attività amministrativa si svolga nel rispetto delle norme, purchè l’osservanza delle stesse - in potenza - sia prospettata (e risulti) come oggettivamente idonea ad arrecare un vantaggio in suo favore (interesse a ricorrere). In conclusione, finisce per non avere importanza se la situazione giuridica violata sia o no una situazione di diritto soggettivo o di interesse più o meno legittimo, in quanto la figura che viene in rilievo preminente è l’interesse, inteso come bene della vita. Si ha netta la percezione che siano insuperate le acute osservazioni della dottrina meno recente secondo cui <<..l’interesse è un elemento metagiuridico, che cioè l’ordinamento giuridico non crea, ma rinviene nella realtà ad esso preesistente; l‘interesse protetto o “legittimo”, invece, configura una entità giuridica individua, che presuppone anch’essa un interesse, inteso come elemento di mero fatto, ma a questo elemento aggiunge un quid che promana esclusivamente dalla norma>>, tanto da potersi dire che “L’interesse legittimo... è ...una nuova forma ...di protezione dell’interesse, accanto al diritto subbiettivo” la cui caratteristica “viene concordemente delineata nel senso che in essa si ha la tutela giuridica di un interesse, ma la tutela stessa non è affidata alla iniziativa del titolare dell’interesse, al quale non è riconosciuto il potere di pretendere l’attuazione della tutela da parte dell’autorità statale”. A conferma di quanto precede deve segnalarsi che la giurisprudenza ultima della Cassazione a Sezioni Unite ha compreso, fra le situazioni soggettive tutelabili, tutti gli interessi materiali a beni della vita, affermando espressamente che: <<tali interessi materiali possono essere “sottostanti” o “correlarsi” tanto ad un diritto soggettivo, come ad un interesse legittimo, come anche ad un mero interesse rilevante. La protezione fornita dall’ordinamento va riferita a questo “interesse al bene della vita” ed è ad esso, quindi, piuttosto che alla sua qualificazione in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, che occorrerà guardare per valutare le condizioni di risarcibilità e le misure conseguenti>>. 5.- Conclusioni: incostituzionalità delle competenze risarcitorie nella giurisdizione su interessi legittimiLe osservazioni fin qui svolte evidenziano come, in realtà, il risarcimento del danno non sia contemplato a tutela della lesione di un interesse legittimo, ma semplicemente di interessi meritevoli di tutela alla stregua dell’ordinamento, posto che la formula generale del connotato dell’ingiustizia del danno risarcibile, affinché operi in concreto, impone di “..individuare le norme di protezione e in base al loro contenuto ricostruire le situazioni soggettive protette e i criteri di legittimazione per farle valere. Il problema si risolve in base alle norme di diritto oggettivo che, disciplinando prevalentemente l’attività economica, consentano di ricostruire a posteriori rapporti che comportano un’obiettivazione completa delle situazioni individuali”. Venuto meno il presupposto logico giuridico delle argomentazioni della Corte costituzionale e dovendosi applicare il generale criterio della “..natura delle situazioni soggettive”, vale a dire il “.. parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa”, il risarcimento del danno, in quanto diritto soggettivo, non può non sottostare alla generale giurisdizione sui diritti dell’A.G.O., fatta salva - a Costituzione invariata - l’ipotesi eccezionale della giurisdizione esclusiva nei misurati limiti affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004. Detti limiti costituzionali, ad un tempo, escludono una assoluta ed incondizionata discrezionalità del legislatore ordinario nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, e impongono al medesimo di indicare "particolari materie" nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione" investa "anche" diritti soggettivi. In definitiva, la materia sarà “particolare”, dunque, costituzionalmente idonea a giustificare la giurisdizione esclusiva, se nel suo ambito ricorrano poteri autoritativi della pubblica amministrazione e, conseguentemente, concorrano situazioni soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Se così è, difficilmente si potrà negare che la cognizione attribuita al giudice amministrativo sul diritto soggettivo al risarcimento del danno di cui al novellato art. 7, comma 3° L. TAR, implicitamente introdotta con l’espressa previsione del potere di condanna contro la pubblica amministrazione, contrasti con l’art. 103, comma 1°, seconda parte Cost., in quanto non correlata ad una specifica materia. Ragionando nel solco delle argomentazioni della Corte, l’azione risarcitoria, proprio in quanto “tecnica di tutela” riparatoria della lesione da cui scaturisce il diritto soggettivo al risarcimento, e proprio perché - secondo quanto richiesto dalla stessa Corte costituzionale - non attinente ad una particolare materia, dovrebbe, come logica conseguenza, ritenersi estesa a tutte le materie, così ponendosi, tuttavia, in aperta violazione del limite che l’art. 103 Cost. (“particolari materie”) pone alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ne discende, con tutta evidenza, l’illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere risarcitorio tout court al giudice amministrativo ogniqualvolta il danno sia originato dalla lesione di un interesse legittimo nella esplicitata accezione. In alternativa alla dichiarazione di incostituzionalità della norma si potrebbe praticare la via della c.d. interpretazione adeguatrice e sostenere che le competenze risarcitorie nella giurisdizione su interessi legittimi sono costituzionalmente legittime nella parte in cui l’inciso “nell’ambito della sua giurisdizione“ si interpreti come estensione delle competenze risarcitorie al limitato ambito di una “materia” già riservata alla giurisdizione esclusiva. Opinare diversamente, come ha fatto la Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, e ritenere che l’azione risarcitoria, in quanto derivante da lesione di interesse legittimo, sia una forma ulteriore di tutela dello stesso interesse legittimo, significa cadere in una petizione di principio che dà per dimostrato (risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo) proprio ciò che, come si è visto, dimostrato non è. ANTONIO GUANTARIO
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